Cinque case tra i rami, cinque artisti, un progetto. Foresta: tra arte e rigenerazione urbana Settembre 2016 al Caos- Certo Arti di Terni. Le interviste ai gruppi partecipanti Cloudster di Equalogical Lab
Il 30 Aprile scorso si è conclusa la campagna di ascolto
“Acea per Roma”.L’iniziativa,
avviata il 20 febbraio, è stata attivata, con il patrocinio del Campidoglio e con la collaborazione
attiva dei Municipi, per stimolare la realizzazione di progetti per
contribuire al miglioramento della qualità della vita nel territorio. I
progetti presentati sono circa 800, in ambiti diversificati: formazione, cultura, inclusione sociale, riqualificazione
di spazi di pubblica utilità.
Noi, insieme
all’associazione di promozione sociale “Nessun Dorma”, abbiamo presentato la
nostra proposta per Roma 70.
Titolo:
Trasformando Roma 70
Aree
tematiche : cultura, riqualificazione e servizi alla persona
Tipologia
di attività : iniziative formative e laboratori, eventi culturali.
Roma 70 è un quartiere
della periferia sud di Roma nato con il piano di zona 39 del 1970, privo di
luoghi deputati alla vita sociale e all’aggregazione.
Vittima e simbolo
dell'edificazione speculativa della città, i suoi palazzoni e le piccole strade
non lasciano spazi fruibili dagli abitanti ad eccezione delle piccole aree
verdi che fanno capolino tra i portoni, abbandonate e dimenticate dalle
istituzioni. Roma 70 è infatti da sempre riconosciuto come un “quartiere
dormitorio”, per il fatto che non ci siano altre attività da svolgere oltre
quella di tornare a casa, la sera, per dormire.
In questo
contesto nasce l'Associazione di Promozione sociale "Nessun Dorma",
che dal 2010 si pone l'obiettivo di riportare socialità e cultura nel quartiere
per offrire agli abitanti quelle occasioni che il piano urbanistico e l'incuria
delle istituzioni gli avevano sempre negato.
Il progetto
"Trasformando Roma 70"propone la realizzazione di una serie di eventi e laboratori che
andranno ad animare gli spazi pubblici del quartiere tramite eventi e
allestimenti di strutture che possano rendere fruibili gli spazi stessi. Le
attività coinvolgeranno diversi ambiti quali la sensibilizzazione al riciclo e
al riuso, alle arti performative, allo sport all'aria aperta e alla vita
comunitaria, coinvolgendo tutte le fasce d'età. Il progetto prevede
l'integrazione tra laboratori di formazione e la realizzazione di eventi
aggregativi.
Rigenerazione,
Partecipazione, Aggregazione, Creatività sono le “parole chiavi” del nostro
progetto.
Il laboratorio
permanente di autocostruzione che verrà istituito e seguito da
"Equalogical lab", si occuperà dell'allestimento di tutti gli eventi
del progetto con l'autocostruzione di arredi leggeri e temporanei in grado di
trasformare gli spazi che accoglieranno le diverse iniziative. Il laboratorio ha
l'obiettivo di innescare un percorso che, da una parte, stimoli la costituzione
di piccole comunità che possano continuare in autonomia ad intervenire sul
territorio per mantenere la vitalità culturale del quartiere e, dall'altra,
creare una struttura che coordini tali iniziative e metta a disposizione tutte
le strumentazioni necessarie per poterle realizzare.
Il progetto
“Trasformando Roma 70” ha come principale obiettivo la creazione di uno spazio
per le attività culturali portate avanti dai giovani, con particolare
attenzione alle produzioni culturali e all'inclusione sociale attraverso la
partecipazione attiva alla riqualificazione del territorio. Il progetto propone
una serie di iniziative da attuare nel quartiere di Roma70 che vedano coinvolti
singoli, associazioni e istituzioni di prossimità e che leghino l'aspetto
formativo e ricreativo alla rigenerazione degli spazi pubblici.
L’associazione “Nessun
Dorma” interviene già da alcuni anni con queste modalità ma senza alcun tipo di
finanziamento sostanziale raggiungendo comunque ottimi risultati. La
composizione del gruppo di lavoro, formato da tutti giovani nati e cresciuti
nel quartiere, e la fitta rete di relazioni con altre realtà affini costruita
nel tempo rappresentano i punti di forza del progetto.
Ci sono gesti che non si
dimenticano mai, gli anni possono passare senza darti la possibilità di
rifarli, ma quando ti vengono richiesti, sei capace di rifarli come se,
dall’ultima volta invece che anni fossero passati minuti o, al più, giorni. Uno
di questi gesti, pare sia l’andare in bicicletta: una volta imparato non lo
dimentichi più. Un’altro è, di sicuro, il movimento che fanno le mani che
aprono un tensore.
Ci sono sensazioni che non si
dimenticano mai, e possono passare anni prima di riviverle, ma poi ti ritrovi
con il naso all’insù a disegnare con il dito una linea invisibile nello spazio
di cielo tra i rami, proprio come se stessi continuando il disegno che anni
prima facevi in un altro cielo.
E ci sono persone che non potrai
mai dimenticare e che per fortuna decidi di rincontrare. Possono essere
cresciute (anche di numero, intendo), ingrassate o dimagrite, ma le ritrovi sempre,
e sempre con tutte loro sarai capace di parlare di cose anche molto complesse,
passate, presenti e future,tanto
più che il vino bianco disseta e scioglie la lingua.
Ci sono gesti, ci sono sensazioni,
ci sono persone...
E c’è un gruppo che sperimenta
nuovi modi di fare: l’architettura è il nostro linguaggio, la sostenibilità
l’interesse che ci accomuna.
In prossimità di un bosco vivevano tre porcellini che, per mettersi
al sicuro da un certo lupo feroce che abitava nei paragi, avevano deciso di
costruire tre case.
Il primo porcellino si procurò calce e mattoni e iniziò a costruire
la propria casa. Lavorò duramente e per molto tempo perché si sa, lavorare con
la calce e i mattoni è tutt’altro che facile. Ma era un porcellino volenteroso
e aveva un sogno: costruirsi una gran bella casa. Perciò, ben presto, riuscì a
finirla.
Un giorno però, rientrando dal mercato, ebbe una brutta sorpresa:
accanto alla sua casa c’erano delle ruspe…
E sì, la paura del lupo era stata tale e tanta che il porcellino
aveva dimenticato di controllare se lì, in prossimità del bosco, poteva essere
costruita una casa in calce e mattoni di quelle dimensioni. Il povero
porcellino non poté molto contro l’ordinanza e, tutto sconsolato, se ne partì
per andare a trovare il secondo porcellino.
Aveva saputo che lui, più attento a certi regolamenti, aveva
costruito una casa in legno. Non era di certo così grande come la sua, ma
sicuramente non gli avrebbe negato ospitalità. La casa del secondo porcellino
ricordava un po’ i vecchi rifugi di montagna: era tutta costruita in legno, in
ogni sua parte.
Ma quale non fu la sua sorpresa quando, arrivato in prossimità
della casa di legno, vi trovò suo fratello tutto intento a verniciare e
chiodare tavole.
“Ciao fratellino, ma ancora non hai finito di costruire la tua
casa?” chiese il primo porcellino al secondo.
“Ma sì che ho finito” gli rispose quello, “solo che la neve questo
inverno è stata tanta, il gelo ha rovinato le tavole ed ora mi ritrovo a dover
risistemare tutto!”
“Oh fratello, almeno tu hai ancora una casa, non sai cosa è
successo a me…” e il primo porcellino gli raccontò la sua triste avventura.
La mattina dopo i due fratelli si alzarono di buon’ora: avevo
deciso di andare a trovare il loro terzo fratello. Avrebbero dovuto camminare
un po’ perché lui aveva deciso di costruire la casa un po’ più in là, quasi
dentro il bosco. “Mi piacerebbe costruire una casa senza chiodi né viti,
proprio come quella dei castori” aveva detto.
Arrivarono a casa del terzo porcellino che era quasi tramontato il
sole. Bussarono e il terzo porcellino andò ad aprire la porta. Ovviamente dopo
aver chiesto “chi era”: sapeva bene che da quelle parti c’era il lupo…
Si sentì felice quando riconobbe la voce dei due fratelli e fu ben
contento di ospitarli, gli offrì un bel tè caldo e cominciarono a
chiacchierare.
“Ma non hai paura del lupo?” gli chiese ad un tratto il primo
porcellino, che da quando era entrato non faceva altro che osservare la casa
tutta costruita con rami, foglie e fango.
“Certo che ho paura del lupo” gli rispose, “per questo ho costruito
così la mia casa. Ho pensato: se la casa dei castori resiste alle correnti dei
fiumi, agli orsi, alle linci, vuoi che non resista al lupo?”
Riscoprendo i ricordi una passeggiata romana a San Lorenzo ritroviamo una esperienza di autocostruzione (e produzione) realizzata dagli studenti della scuola elementare A. Saffi.
Camminare per la città e trovarsi davanti un giardino verticale fatto in elementi riciclati è stata una bellissima scoperta... pensando soprattutto a una città come Roma dove la vita pedonale è inevitabilmente sopraffatta dalla mobilità su ruote.
Condividiamo il ricordo di una città un po' più verde e con certa ingenuità a scala di bambino.
Gusci a gravità realizzati con tessuti imbevuti di cemento. Le tele ancora umide vengono appese sul sistema di cavi e lasciate seccare. Il risultato finale è un sistema collaborante di cavi e gusci rigidi, che interagiscono grazie alla forza di gravità utilizzata nella fase di costruzione. Altri post sullo stesso argomento: http://equalogical.blogspot.it/2012/05/strutture-gravita.html
In tanti a domandarsi quali sono l’architetto e l’architettura più belli del reame. Poi vai a Londra e fai una foto. La riguardi dopo un po’ di tempo e non capisci se l’immagine riguarda la costruzione di Foster o le case ottocentesche che si specchiano nelle finestre romboidali e triangolari. In parte sembra che Foster si adorni o si appropri dello scenario circostante, in parte l’immagine riflessa annulla la tridimensionalità retrostante lo specchio. Forse una terza cosa. Come nel mito di Narciso, la magia dello specchio annulla identità, materia o dimensioni degli elementi coinvolti. Anche la superficie dell’acqua o del vetro che riflette diventa effimera e impalpabile. Resta solo l’immagine.
Così la superficie che riflette può diventare a sua volta riflessa, e la forma unitaria del soggetto può frantumarsi e decomporsi in un gioco di rimandi infiniti. Anche la suggestione dell’architettura che esplode (come in Zabriskie Point di Antonioni) entra nel gioco. Basta poca fantasia (e un algoritmo dinamico) perché l’architettura di Foster progressivamente si apra, si divida in pezzi che si ricompongono secondo i dettami delle avanguardie pittoriche del novecento. Dalla decomposizione alla frantumazione e all’esplosione. Poi nuovi inserti, nuove combinazioni. La dinamica si inverte e l’immagine riflessa torna a cercare la sua identità e integrità. Dal disordine emerge la piramide di Chefren in omaggio al principio che nella memoria le immagini si mescolano, restano distinte ma diventano intercambiabili.
Quando facciamo cadere della sabbia, della terra, delle pietre o biglie vediamo come si accumulano in verticale. la relazione tra la sua altezza e la base dipenderà dalla dimensione, forma e quantità degli elementi come dall'attrito che si genera tra loro.
Se immaginiamo di applicare dei limiti la forma di aggregazione non sarà più quella conica, ma, per esempio, cilindrica o cubica nel caso di una brocca d'acqua. Se questi limiti immaginari fossero il vuoto che ci circonda, allora le pietre che cadono inizierebbero a formare i muri che delimitano la nostra stanza.
Il pieno e il vuoto interagiscono nella definizione dello spazio che ci circonda.
Se osserviamo la caduta degli elementi con differenti forme geometriche a diverse dimensione (più piccola o più grande) gli elementi si accumulano l'uno sull'altro. Il processo è casuale ma non libero.
I processi legati alla caduta all'interno di limiti prestabiliti definiscono l'auto-organizzazione dell'insieme. Nel video proponiamo il gioco tra il vuoto come limite immaginario e il processo di aggregazione auto-organizzata di diverse forme (cubo, piramide e sfera) per definire le pareti della nostra stanza.
In natura tutto ció si mimetizza e si confonde con l'erosione del vento, la crescita delle piante con le loro radici, le pietre che si spaccano o la sabbia che si compatta con il tempo...
In architettura resta a noi ricercare la poesia tra gli elementi per (ri)stabilire una relazione tra costruito e natura.
Proseguendo nei miei studi sul disegno dinamico mi sono trovato di fronte a un bivio: l’approfondimento dei contenuti sembra richiedere un aumento della complessità delle simulazioni, delle applicazioni di questo tipo di disegno; la comprensione dei meccanismi spinge verso una estrema scomposizione dei passaggi intermedi sino alla sequenza elementare dei comandi.
La crescita di un albero in un paesaggio influenzato dalle quattro stagioni, la metamorfosi di un tempio greco dal legno alla pietra, la fine dell’architettura a causa dei terremoti, la riappropriazione dei luoghi da parte della vegetazione costituiscono la scaletta di un racconto illustrato in allestimento, che ha il solo scopo di verificare fino a che punto arrivano gli algoritmi dinamici nel simulare la realtà. Vedremo dove mi porterà questa linea di ricerca. Fin dall’inizio però il tentativo di riflettere sui contenuti in questo ambito di indagine porta a distinguere il disegno animato (quello di Walt Disney per intendersi), che utilizza immagini pittoriche in sequenza, dal dynamic design che applica algoritmi per simulare un evento, una prestazione, una procedura.
Ma cosa significa “applicare un algoritmo”? Che differenza c’è tra disegnare un parallelepipedo e gestire l’algoritmo di una primitiva? Di qui il bivio di cui sopra. Mentre sto portando faticosamente avanti la simulazione della complessità, ho provato a spiegare (non so se a me stesso o agli altri) con due dispense pubblicate su amazon.com e lulu.com di cosa è fatto un disegno dinamico, quali sono le scelte che uno compie nel costruire non solo una immagine ma anche le relative modificazioni, metamorfosi o evoluzioni nel corso del tempo.
Per esempio se voglio simulare le lesioni in un muro causate da un terremoto ho bisogno di: un adeguato numero di blocchi o mattoni, la dislocazione di questi blocchi in file a giunti sfalsati, la sovrapposizione delle file di mattoni, l’attribuzione di un peso a ciascun elemento, una appropriata disposizione dei muri per completare la struttura, una fondazione sulla quale registrare i danni del sisma (come un distacco e uno sfalsamento), la capacità di fondazioni e terreno nel sostenere la costruzione, il progressivo generarsi e diffondersi del distacco a partire dalla lesione nelle fondazioni, la parziale perdita di aderenza tra i blocchi, l’incapacità dei blocchi di sostenersi l’un l’altro, l’inclinazione della muratura sino al collasso finale.
"Quel particolare stato d'animo in cui il vuoto diviene
eloquente, in cui la catena dei gesti quotidiani viene interrotta e il cuore
cerca invano l'anello che lo ricongiunga". (Albert Camus) La notte del 6 aprile L’Aquila ha conosciuto l’assurdo, il non senso
della vita, la vanità del futuro.
Una città puntellata E’ così che appare L’Aquila, oggi.
Non so se a qualcuno di voi è mai capitato di vedere un set
cinematografico. Una scenografia che ripropone un interno di una casa o le facciate
di un intero paese, magari di una piazza.
Le pareti sono formate da pannelli di poliestere e cartone, tutto è
ben disegnato: le finestre, le pietre dei muri, i portoni, le persiane in
legno… Quando si è in mezzo alla piazza, se non si tocca nulla, sembra di stare
in un vero paese (anzi, forse l’hai visto questo paese, in qualche brochure che
pubblicizza piccole gite). Anche se in quel momento non ci sono attori che
recitano e tutto è deserto, non si fatica ad immaginare un gruppo di ragazzi
seduto accanto alla fontana, qualcuno che si abbraccia davanti al portone, dei
turisti che fotografano…
Nella visita al Museu Marítim de Barcelona è stata una bella sorpresa incontrare un'istallazione in scatole di cartone che raccontava i lavori di restauro realizzati. Nel grande spazio del museo dedicato alle imbarcazioni tra il XIII e XVIII secolo si articolava un muro fatto di scatole, una soluzione semplice e poetica che accoglieva il visitatore.
Los modelos que muestran a
nivel teórico el sistema del ciclo de vida (sean abiertos o cerrados) de
materiales y producto en nuestra sociedad, simplifican por necesidad las
dinámicas reales relacionadas. El sistema empieza a articularse aplicando el
modelo a un producto concreto donde son visibles las interacciones entre
diferentes ámbitos industriales en relación a los materiales y procesos
utilizados para su producción/construcción. De la misma forma, si quisiéramos
formalizar todos los productos que producimos y utilizamos, así como sus
múltiples variantes, nos damos cuenta de la vastedad del sistema y de su
elevada complejidad. Si imaginamos que desde mañana nuestro sistema de
producción a escala global fuese cerrado, igualmente tendríamos ya acumulada
una cantidad de desecho que hoy en día no sabemos cómo deshacer.
Esquema del análisis del ciclo de vida de los materiales: en negro el sistema actual lineal y abierto, en gris el sistema cerrado con la reincorporación de los residuos y su reciclaje.
Para llegar a un ciclo de
vida cerrado, deberíamos conseguir que nuestros residuos se transformen en
nuestros recursos. Esto implica eliminar el concepto de residuo rediseñando los
procesos y los productos desde su origen. “Significa que los valiosos
nutrientes contenidos en los materiales conforman y determinan el diseño: la
forma sigue a la evolución, no solo la función” (Braungart; McDonough, 2005,
98).
I limiti possono essere
pesanti e insopportabili, opprimenti. Disegnano, costringono. Oppure proteggono,
aiutano, formano, identificano.
Il primo limite di Berlino
che chiunque vede, entrando in città dall’aeroporto, è quello che corre lungo i
binari della metro.
Sono piccole case, di una
stanza appena e con, tutt’ intorno, un giardino. Se le guardi di sfuggita, così
come ti obbliga il treno della S-Bahn, pensi a una baraccopoli e ti dici:
”Accidenti, i tedeschi fanno bene pure le baraccopoli!” Poi fermi il pensiero,
ti avvicini al finestrino e cerchi di capire. Guardi meglio. No, non sono
baraccopoli…che cosa sono?
Boxhagener Platz è una
piazza molto grande. Un marciapiede larghissimo, coronato da alberi, le fa da
cornice. In mezzo alla piazza ci sono: uno “spielplatz”, pieno di sabbia
fastidiosa che tanto piace ai bambini; una grande vasca in cemento con una
fontana che schizza acqua nelle pochissime giornate di calura; un prato verde,
non molto pulito, che si riempie nei giorni di sole, anche quando questo non
riscalda.Tutt’intorno il
marciapiede è quasi sempre vuoto, solo persone di passaggio: a piedi o in bici.
Chi la conosce bene sa
che, in verità, questa piazza conta!
Conta, quanti giorni e
quante ore mancano prima che possa di nuovo cambiare.
Perché di sabato e di
domenica, questa piazza (s)cambia.
Il sabato indossa un abito
colorato: i colori ricordano la frutta e le verdure di stagione, e mette un po’
di profumo, quello di fiori stravaganti. La domenica veste un vestito molto più
composto ma talmente pieno di accessori e cianfrusaglie che quasi l’abito non
si vede più.
Il sabato è il turno del
mercato dei produttori locali. I banchi sono formati dai furgoni, che per
quelle 5 ore si fermano e si aprono a mostrare le loro merci.
La domanda è semplice, anzi sciocca. La risposta troppo complessa e articolata per esaurirla in un solo post!
Berlino, è bella???
Dopo un lungo anno e un lunghissimo inverno passato a osservare, cercare, studiare e gironzolare per la città, posso rispondere.
Sì, Berlino è una gran bella città! Ma la sua bellezza non va cercata solo nei monumenti, nelle architetture, nei musei: Berlino non è bella solo per quello che mostra di sé, Berlino è bella anche (e soprattutto?) per le risposte che da’!
A Berlino ogni cosa si moltiplica nei suoi dettagli, nei suoi collegamenti con l’arte, la storia, l’architettura, la gente… Da qualunque punto si parte, il discorso si può allargare e sviluppare in ogni direzione, fino a perdersi.
Berlino è una città da scoprire sotto il suo groviglio di desideri, memorie, scambi e limiti.
Mi hanno chiesto di fare un post sulla interpretazione
“olistica” del progetto e dell’architettura. Il termine può sembrare ostico ma
il concetto retrostante è semplice, quotidiano. Basta pensare al tramonto: un
evento che si ripete tutti i giorni, in tutte le parti del mondo, ben spiegato
dalla scienza. Eppure quando il cielo è limpido sul mare, lo spettacolo diventa
emozionante il più delle volte. Un po’ di foschia può rovinarlo, le nubi
nasconderlo, ma quando i colori prendono il sopravvento, io resto rapito. Le
spiegazioni astronomiche e metereologiche dell’evento sono del tutto estranee e
separate dall’emozione trasmessa. Gli antichi popoli del Mediterraneo credevano
che la terra fosse ferma e che il sole le girasse intorno. L’emozione di un
tramonto poteva essere la stessa di oggi. Conta la disposizione dell’animo di
chi si pone di fronte al sole che si tuffa nel mare.
L’incontro con una architettura, anche se preparato
dall’esame della documentazione fotografica, può risultare entusiasmante o
deludente, confermare le attese o sorprenderci. Quando circa venti anni fa sono
andato a visitare il palazzo di Frank Ghery a Praga (a volte chiamato Giger e Fred) mi sono trovato di fronte
ad una realtà architettonica e urbana del tutto imprevista. Ciò che le pubblicazioni
sull’opera non lasciavano intravvedere erano le relazioni con l’intorno.
Proseguendo nel percorso avviato con il post del 7 settembre, vorrei documentare/rappresentare le forme della microeconomia, i modi di essere nella città, o meglio nella strada, di numerosi soggetti interrelati tra loro.
Rimandando ad una successiva riflessione la
molteplicità tipica dei mercati nelle diverse realtà economiche e culturali, un
primo elemento di attenzione è l’occupazione spontanea dello spazio da parte
degli operatori. A volte l’occupazione ha bisogno di strutture minimali
(ovviamente auto-costruite), altre volte si limita all’occupazione del suolo.
La diffusione e la presenza costante di questi sistemi apparentemente deboli ne
dimostra il radicamento e l’importanza rispetto alle realtà economicamente
marginali (che però riguardano la stragrande maggioranza della popolazione
mondiale). Viene il sospetto che siano i nostri strumenti di osservazione ad
impedire una comprensione di questi fenomeni, capace di andare al di là delle
apparenze.
Soluzioni per il commercio spontaneo in Kenia (2005)
“(…) l’innovazione
tecnologica è innanzitutto un fatto singolo e puntuale. Ma un miliardo di
persone non le raggiungerai mai se non le guardi tutte insieme.Allora hai bisogno di cose orizzontali …”
Nell’ultima settimana ho girato molto sul web,
ho la mente piena di immagini e di considerazioni che ho bisogno di fissare,
penso che questa frase possa essere una chiave di lettura. Una delle tante,
però!
Viaggiare in un isola tropicale come lo Sri Lanka è senza dubbio un'esperienza interessante da tanti punti di vista... culturali, architettonici, naturalistici, etc. Ma la maggior sorpresa è stata la scoperta delle Palme, per semplice che possa sembrare. Sono delle piante che per la loro tipologia non mi avevano mai convinto molto. Sembravano eccessivamente alte e magre (tipo modelle anoressiche) spesso utilizzate per ricordare scenari esotici e piantate in lughi non sempre adatti alla loro crescita.
Spiaggia di Uppuveli (Trincomalee) nella costa orientale.
An experimental story with the eyes of the others that cross moments and places of the immagination to reach the nature creativity (bio-inspiration).
The sharing of movies, images and musics, available on the web, generates impossible travels in the space and time. From the virtual visit of Sri Lanka to the suggestion of the rainforest, the ruins of an ancient world and the meeting with a new misticism, the arrogance of nature (during the centuries) and the imagination of new landscapes/architectures.