La natura è fonte di ispirazione e insegnamento.... la foglia, la crescita del ramo, la struttura dell'albero sono un esempio. Sempre affascinati dalle molteplici interpretazioni che si possono fare utilizzando diversi metodi di rappresentazione vi auguriamo un nuovo anno pieno di creatività!!
Nell’agosto del 2007 il laboratorio di autocostruzione, organizzato nei pressi di Mendoza (Argentina), ha utilizzato una tecnica basata sulla aggregazione di triangoli per la realizzazione di un guscio reticolare. Negli studi preparatori e poi nella costruzione vera e propria la curvatura era fatta dipendere dalle modalità di giunzione dei triangoli. Lo spessore delle canne (1 pollice = 2,54 cm) condizionava il soprammontare o il concatenarsi dei triangoli che non è stato facile controllare per dare continuità e coerenza strutturale alla superficie curvilinea.
Quando il guscio ha raggiunto i 2 o 3 metri di lunghezza, la curvatura ha cominciato a dipendere più dalla elasticità del materiali e dalla numerosità dei giunti che non dalle regole di aggregazione. Inoltre, il buon senso ha suggerito di aggiungere ulteriori triangoli per aumentare la resistenza del reticolo nei punti critici, rendendo ancora meno riconoscibile l’ipotesi geometrica iniziale. Ovvero hanno preso il sopravvento i fattori casuali rispetto all’ordine progettuale precostituito. Come se il sistema si fosse autorganizzato a dispetto del progettista.
Come si può riportare questo tipo di casualità all’interno della tecnologia e del progetto? La simulazione ottenuta dopo diversi tentativi, che meglio approssima il procedimento costruttivo e il risultato atteso, utilizza i seguenti algoritmi dinamici:
– la clonatura delle aste cilindriche rispetto a una griglia bidimensionale; clonatura ripetuta 3 volte con con aste che formano tra loro un angolo di 120º (seguendo l’inclinazione dei lati in un triangolo equilatero);
– l’attribuzione di un peso in un campo gravitazionale (ovviamente virtuale) in modo che le canne o aste si sovrappongano tra loro, come avviene nella realtà; nell’animazione le canne sono lasciate cadere sul terreno in modo che ogni corpo rigido trovi la sua propria posizione;
– l’uso di fattori casuali che modificano la disposizione dei pezzi (entro un rango predeterminato) che quindi obbediscono in misura limitata ai vincoli geometrici, esaltando la capacità del sistema di cercare e trovare una condizione di equilibrio sia statico sia dinamico;
– l’attribuzione a posteriori di una curvatura utilizzando i cosiddetti deformatori che impongono all’insieme dei corpi rigidi di passare da una condizione di planarità a una di tridimensionalità curvilinea senza perdere la geometria cilindrica originaria.
In tanti a domandarsi quali sono l’architetto e l’architettura più belli del reame. Poi vai a Londra e fai una foto. La riguardi dopo un po’ di tempo e non capisci se l’immagine riguarda la costruzione di Foster o le case ottocentesche che si specchiano nelle finestre romboidali e triangolari. In parte sembra che Foster si adorni o si appropri dello scenario circostante, in parte l’immagine riflessa annulla la tridimensionalità retrostante lo specchio. Forse una terza cosa. Come nel mito di Narciso, la magia dello specchio annulla identità, materia o dimensioni degli elementi coinvolti. Anche la superficie dell’acqua o del vetro che riflette diventa effimera e impalpabile. Resta solo l’immagine.
Così la superficie che riflette può diventare a sua volta riflessa, e la forma unitaria del soggetto può frantumarsi e decomporsi in un gioco di rimandi infiniti. Anche la suggestione dell’architettura che esplode (come in Zabriskie Point di Antonioni) entra nel gioco. Basta poca fantasia (e un algoritmo dinamico) perché l’architettura di Foster progressivamente si apra, si divida in pezzi che si ricompongono secondo i dettami delle avanguardie pittoriche del novecento. Dalla decomposizione alla frantumazione e all’esplosione. Poi nuovi inserti, nuove combinazioni. La dinamica si inverte e l’immagine riflessa torna a cercare la sua identità e integrità. Dal disordine emerge la piramide di Chefren in omaggio al principio che nella memoria le immagini si mescolano, restano distinte ma diventano intercambiabili.
Quando facciamo cadere della sabbia, della terra, delle pietre o biglie vediamo come si accumulano in verticale. la relazione tra la sua altezza e la base dipenderà dalla dimensione, forma e quantità degli elementi come dall'attrito che si genera tra loro.
Se immaginiamo di applicare dei limiti la forma di aggregazione non sarà più quella conica, ma, per esempio, cilindrica o cubica nel caso di una brocca d'acqua. Se questi limiti immaginari fossero il vuoto che ci circonda, allora le pietre che cadono inizierebbero a formare i muri che delimitano la nostra stanza.
Il pieno e il vuoto interagiscono nella definizione dello spazio che ci circonda.
Se osserviamo la caduta degli elementi con differenti forme geometriche a diverse dimensione (più piccola o più grande) gli elementi si accumulano l'uno sull'altro. Il processo è casuale ma non libero.
I processi legati alla caduta all'interno di limiti prestabiliti definiscono l'auto-organizzazione dell'insieme. Nel video proponiamo il gioco tra il vuoto come limite immaginario e il processo di aggregazione auto-organizzata di diverse forme (cubo, piramide e sfera) per definire le pareti della nostra stanza.
In natura tutto ció si mimetizza e si confonde con l'erosione del vento, la crescita delle piante con le loro radici, le pietre che si spaccano o la sabbia che si compatta con il tempo...
In architettura resta a noi ricercare la poesia tra gli elementi per (ri)stabilire una relazione tra costruito e natura.
Proseguendo nei miei studi sul disegno dinamico mi sono trovato di fronte a un bivio: l’approfondimento dei contenuti sembra richiedere un aumento della complessità delle simulazioni, delle applicazioni di questo tipo di disegno; la comprensione dei meccanismi spinge verso una estrema scomposizione dei passaggi intermedi sino alla sequenza elementare dei comandi.
La crescita di un albero in un paesaggio influenzato dalle quattro stagioni, la metamorfosi di un tempio greco dal legno alla pietra, la fine dell’architettura a causa dei terremoti, la riappropriazione dei luoghi da parte della vegetazione costituiscono la scaletta di un racconto illustrato in allestimento, che ha il solo scopo di verificare fino a che punto arrivano gli algoritmi dinamici nel simulare la realtà. Vedremo dove mi porterà questa linea di ricerca. Fin dall’inizio però il tentativo di riflettere sui contenuti in questo ambito di indagine porta a distinguere il disegno animato (quello di Walt Disney per intendersi), che utilizza immagini pittoriche in sequenza, dal dynamic design che applica algoritmi per simulare un evento, una prestazione, una procedura.
Ma cosa significa “applicare un algoritmo”? Che differenza c’è tra disegnare un parallelepipedo e gestire l’algoritmo di una primitiva? Di qui il bivio di cui sopra. Mentre sto portando faticosamente avanti la simulazione della complessità, ho provato a spiegare (non so se a me stesso o agli altri) con due dispense pubblicate su amazon.com e lulu.com di cosa è fatto un disegno dinamico, quali sono le scelte che uno compie nel costruire non solo una immagine ma anche le relative modificazioni, metamorfosi o evoluzioni nel corso del tempo.
Per esempio se voglio simulare le lesioni in un muro causate da un terremoto ho bisogno di: un adeguato numero di blocchi o mattoni, la dislocazione di questi blocchi in file a giunti sfalsati, la sovrapposizione delle file di mattoni, l’attribuzione di un peso a ciascun elemento, una appropriata disposizione dei muri per completare la struttura, una fondazione sulla quale registrare i danni del sisma (come un distacco e uno sfalsamento), la capacità di fondazioni e terreno nel sostenere la costruzione, il progressivo generarsi e diffondersi del distacco a partire dalla lesione nelle fondazioni, la parziale perdita di aderenza tra i blocchi, l’incapacità dei blocchi di sostenersi l’un l’altro, l’inclinazione della muratura sino al collasso finale.