6 gen 2014

Riguardo ai sistemi autorganizzati (prima parte)

Parlare di auto-organizzazione è scivoloso. Perché le definizioni fornite da biologi e matematici appaiono inaccessibili ai più (compreso lo scrivente). Perché gli algoritmi rappresentativi di sistemi autorganizzati sono di difficile accesso e applicazione.
Eppure può essere molto semplice produrre o riprodurre sul proprio tavolo da lavoro un insieme di elementi che suggeriscono forme di autorganizzazione.
Basta prendere un contenitore alimentare (quello del latte o dei succhi di frutta), pulirlo e tagliarlo a strisce. Nessun problema se i pezzi non saranno tutti uguali. I margini di tolleranza sono ampi, anche se non infiniti.
Incurvando le strisce di carta e plastica su se stesse e unendo gli estremi con una volgare cucitrice a punti metallici, vengono fuori degli anelli relativamente piccoli (4 o 5 cm di diametro, 1 o 2 cm di altezza). Anelli che possono essere uniti tra loro sempre con la cucitrice.
Il modo di giunzione degli anelli rappresenta il criterio di autorganizzazione per un sistema seppure così tanto casareccio e poco aristocratico. Scegliamo il più semplice, quello complanare: accostiamo gli anelli disposti su uno stesso piano e cuciamoli nel punto di contatto. Se gli anelli sono tutti uguali e ognuno è circondato da 6 anelli, il risultato è una superficie piana bucata. Ma gli anelli non sono tutti uguali e la superficie tende a incresparsi. Se poi ogni tanto un anello manca tende a formarsi una calotta.
La flessibilità del materiale permette la deformazione degli anelli che da tondi diventano ovali, oblunghi, distorti. E la deformazione degli anelli permette la modellabilità della superficie. Ogni elemento del sistema si organizza soltanto in funzione degli elementi vicini, come recita la principale definizione del principio di autorganizzazione. Nello stesso tempo i margini di tolleranza applicati a un elevato numero di ripetizioni generano una forma, un assetto complessivo del sistema con una propria identità figurativa.

La natura è piena di textures generate dalla ripetizione all’infinito di un elemento o meccanismo riproduttivo: coralli e spugne mantengono allo scoperto tanto gli elementi primari che si ripetono l’uno attaccato all’altro, quanto la variabilità delle combinazioni che lo stesso meccanismo riesce a produrre.
Anelli di carta e punti metallici servono a costruire dei macro-coralli? Giocando sulle deformazioni degli anelli, i raggi di curvatura della superficie passano dal molto stretto (1 o 2 diametri) all’infinito e la forma del macro-corallo si lascia modellare orientata o ispirata dalla bio-similitudine.

Considerazioni al margine:
- le prestazioni strutturali della forma generata dagli anelli è incredibilmente superiore alle strisce di carta utilizzate per costruirla;
- la deformazione sistematica degli anelli, necessaria alla modellazione del macro-coralli, producono un modello fisico fotografabile e testabile ma non traducibile un modello grafico e, meno che mai, in un modello strutturale;
- la bio-similitudine non riguarda tanto il materiale di partenza o la configurazione di arrivo, quanto il meccanismo di aggregazione e crescita degli elementi costitutivi.