12 apr 2018

La casa per una generazione nomade come la nostra

La casa dove vivono i miei genitori è grande. L’hanno costruita negli anni risparmiando ogni lira (prima del 2000) e ogni centesimo (dopo il 2000). Ha quattro piani, perché noi siamo quattro figli. Ognuno sa dove andare a dormire quando, per brevi periodi, torniamo “a casa”. Per il resto dell’anno viviamo in quattro Stati diversi: tre europei e uno mediorientale. Non credo che i miei genitori abbiano mai pensato che noi saremmo rimasti a vivere con loro anzi, l’anno in cui io sono nata sapevano già che saremmo partiti tutti: prima per studiare e poi per lavorare. Il loro pensiero è sempre stato quello di costruire un luogo dove poter “tornare”, perchè anche se saremmo stati nomadi per tutta la vita “sapere dove tornare è fondamentale”.
A dire il vero non so se questo mi abbia aiutata. Intendo dire che forse, libera di andarmene non lo sono stata mai.
Ora vivo in un luogo che non sento mio ma la cosa sorprendente è che nessun luogo nel quale ho vissuto (né tantomeno quello da cui sono andata via circa venti anni fa) mi appartiene più. E ne soffro.

La casa non è una sola, in partenza da Catania per rientrare a Berlino - foto © Laura Tallarida 2015


Il paguro o anche detto granchio eremita porta con se la sua casa che cambierá mano a mano che  cresce - foto © Ludovica Rossi 2012 spiaggia in Sri Lanka

Quando io, a mia volta, sono diventata genitrice, ho pensato che la cosa che avrei voluto per mia figlia era che fosse veramente nomade. Nomade come chi rifiuta sostare in un territorio definitivo e percepisce tutto il mondo come un possibile luogo d’azione. E ne è felice. Nomade come chi trova nello spostamento continuo la condizione privilegiata per diffondere e mettere a frutto le proprie conoscenze, idee, capacità fisiche o intellettuali. E vuole vivere così. Ora, con molta probabilità, le mie figlie (che intanto sono diventate due) appena ne avranno la possibilità, vorranno tornare da dove sono partita io e non si vorranno muovere più. Eppure la società di oggi, quella “globale”, in cui loro sono nate e nella quale stanno crescendo, è una società estremamente nomade.
Nomade è il migrante che si sposta per necessità, lo scienziato che viaggia da un’università all’altra cercando un luogo favorevole alle proprie ricerche, l’uomo d’affari che si sposta tra una sede e l’altra dell’azienda in cui lavora, viaggiando da un continente all’altro. Ognuno di loro trascorre la propria esistenza senza legarsi ad un territorio determinato. Come i nomadi del passato, oggi ci si sposta continuamente allacciando relazioni sempre nuove e seguendo un destino indipendente da quello degli altri membri della famiglia di origine.
In quest’ottica la casa grande che i miei genitori hanno costruito non ha alcun senso ora e non lo avrà in futuro.

  
Stime dei  flussi migratori tra i primi 50 paesi di provenienza e destinazione (Fonte qui)
Pubblicitá casa mobile Hotel Amigo della FIAT 1981 (Fonte Pinterest)

La casa del futuro è un’abitazione piccola, facile da trasportare e autosufficiente per poter sostare ovunque nel mondo; senza allacci, permessi, fondazioni. La casa del futuro non è pensata per accumulare, è vuota: contiene al suo interno il minimo indispensabile e non da’ spazio al superfluo.

Leonardo Di Chiara, architetto di 27 anni laureatosi l’anno scorso, l’ha progettata. Ha costruito aVOID (un vuoto), dentro cui vivere e con cui spostarsi. Sono 9 mq, la dimensione minima di una stanza per gli standard edilizi. E’ concepita come un oggetto di alta tecnologia e design, anche se è tutt’ora in fase di sperimentazione, ma ha l’ambizione di diventare in tutto autosufficiente e piena di ogni confort. Perché se è vero che l’esistenza delle persone è proiettata verso l’esterno (sempre più mutevole e lontano), è anche vero che persiste l’esigenza di trovare alcuni vantaggi tipici della sedentarietà. Come essere sempre reperibili (spostando la propria residenza e il proprio domicilio nel luogo in cui di volta in volta, e per un tempo sempre variabile, ci si trova a vivere); o come lavorare, divertirsi, informarsi, stringere relazioni,...

      

   

Idea e fotografie della casa mobile aVOID - © Leonardo Di Chiara

Non avevo capito l’originalità del progetto aVOID finchè non ho incontrato Leonardo. Sentirlo parlare in maniera semplice del vivere nomade, vederlo pronto a immortalare con un selfie qualunque avvenimento in maniera così naturale ed elegante, mi ha fatto capire quanto per lui (13 anni più piccolo della sottoscritta) fosse del tutto normale vivere in questa società. Senza grandi conflitti interiori, senza rimpiangere una realtà che non esiste più.
Un architetto come lui, di questa generazione, non può avere alcun interesse a restaurare la casa della nonna, la sua esigenza è quella di costruire un’abitazione su ruote per vivere nel mondo. Attenzione, non una casa su ruote per fuggire da una società vista come  inattendibile e perversa,  al contrario: una casa su ruote per vivere come la società attuale ci chiede di vivere.
In effetti a ben guardare la casa che Leonardo ha progettato (da un punto di vista architettonico e tecnologico) non è nulla di trascendentale. Molto prima di lui, generazioni di persone mosse da un senso profondo di straniamento, disagio e dolore per la loro condizione di vita (persone imprigionate nella routine quotidiana di casa-lavoro, lavoro-casa), avevano già autocostruito abitazioni del genere (TinyHause) con il desiderio di lasciarsi alle spalle la propria carriera, e andare alla ricerca del  senso “vero” della vita.

Molti di loro pensavano che questa verità si risolvesse con l’equazione:
verità = bellezza = natura= solitudine.

 
 Copertiona del film Into the Wild (fonte Wikipedia
La casa aVOID Tiny House in viaggio da Berlino a Roma © Leonardo Di Chiara

Pensate al grandioso film di  Seann Penn  “Into the Wild”. Un giovane ragazzo, appena laureato, va alla ricerca della felicità; fugge dalla società, rinuncia al rapporto con gli altri. Si spinge all’estremo per capire infine che la felicità non è nulla, se non c’è nessuno con cui condividerla. E ora riflettiamoci su. Per quanto la società attuale possa non piacerci,  è possibile vivere in questo mondo globale senza arrivare alla simmetrica e solitaria opposizione, al “gran rifiuto” e alla tragica ed eroica rinuncia al legame di cui è protagonista e martire il giovane Supertramp?
Leonardo, e verosimilmente chi si laurea oggi come lui, sostiene che la risposta sia nella vita nomade contemporanea. Con la sua casa lui intende costruire una nuova società, una nuova rete di persone che insieme possono dare un’identità e un senso positivo a questa società globale e liquida. Leonardo sostiene che pensare alla casa grande e stazionaria non ha più senso, così come non ha senso immaginarsi da soli immersi nella natura. In un periodo come questo, l’unica possibilità è quella di creare nuove relazioni, di aggiungere valore alle città sedentarie che si sforzano di restare immutevoli quando ormai nulla può rimanere tale. E’ abitare temporaneamente gli spazi vuoti delle città per portare nuove relazioni, nuove culture, informazioni, in maniera non solo virtuale ma anche fisica. Se Leonardo avesse ragione, e questo nomadismo diventasse la forma naturale del vivere dell’uomo, sarebbe estremamente interessante capire come  cambierà la struttura territoriale delle città e, ancor prima, come sarà necessario ripensare alla struttura statale degli ordinamenti vigenti.

Certo, in questo continuo e quanto mai naturale migrare, la chiusura ottusa dei confini tra gli Stati risuona ancora più insensata, triste e crudele.



Fotografia dell'interno e schizzo del concetto di aVOID Tiny House - © Leonardo Di Chiara


Pagina ufficiale Leonardo Di Chaiara, progetto aVOID: qui
Articoli relazionati:
Maggiori dettagli sull'analisi dei flussi migratori Wittgenstein Centre for Demography and Global Human Capital tra il 2005 e il 2010: qui

Bibliografia: "Globalizzazione e Nomadismo" di Fabio Macioce, Centro Studi TCRS
                      "L'uomo Nomade" di Jacques Attili, Spirali, Milano 2006