Parlare di auto-organizzazione è scivoloso. Perché le
definizioni fornite da biologi e matematici appaiono inaccessibili ai più
(compreso lo scrivente). Perché gli algoritmi rappresentativi di sistemi
autorganizzati sono di difficile accesso e applicazione.
Eppure può essere molto semplice produrre o riprodurre sul
proprio tavolo da lavoro un insieme di elementi che suggeriscono forme di
autorganizzazione.
Basta prendere un contenitore alimentare (quello del latte o
dei succhi di frutta), pulirlo e tagliarlo a strisce. Nessun problema se i
pezzi non saranno tutti uguali. I margini di tolleranza sono ampi, anche se non
infiniti.
Incurvando le strisce di carta e plastica su se stesse e
unendo gli estremi con una volgare cucitrice a punti metallici, vengono fuori
degli anelli relativamente piccoli (4 o 5 cm di diametro, 1 o 2 cm di altezza).
Anelli che possono essere uniti tra loro sempre con la cucitrice.
Il modo di giunzione degli anelli rappresenta il criterio di
autorganizzazione per un sistema seppure così tanto casareccio e poco
aristocratico. Scegliamo il più semplice, quello complanare: accostiamo gli
anelli disposti su uno stesso piano e cuciamoli nel punto di contatto. Se gli
anelli sono tutti uguali e ognuno è circondato da 6 anelli, il risultato è una
superficie piana bucata. Ma gli anelli non sono tutti uguali e la superficie
tende a incresparsi. Se poi ogni tanto un anello manca tende a formarsi una
calotta.
La flessibilità del materiale permette la deformazione degli
anelli che da tondi diventano ovali, oblunghi, distorti. E la deformazione
degli anelli permette la modellabilità della superficie. Ogni elemento del
sistema si organizza soltanto in funzione degli elementi vicini, come recita la
principale definizione del principio di autorganizzazione. Nello stesso tempo i
margini di tolleranza applicati a un elevato numero di ripetizioni generano una
forma, un assetto complessivo del sistema con una propria identità figurativa.
La natura è piena di textures
generate dalla ripetizione all’infinito di un elemento o meccanismo
riproduttivo: coralli e spugne mantengono allo scoperto tanto gli elementi
primari che si ripetono l’uno attaccato all’altro, quanto la variabilità delle
combinazioni che lo stesso meccanismo riesce a produrre.
Anelli di carta e punti metallici servono a costruire dei
macro-coralli? Giocando sulle deformazioni degli anelli, i raggi di curvatura
della superficie passano dal molto stretto (1 o 2 diametri) all’infinito e la
forma del macro-corallo si lascia modellare orientata o ispirata dalla
bio-similitudine.
Considerazioni al margine:
- le prestazioni strutturali
della forma generata dagli anelli è incredibilmente superiore alle strisce di
carta utilizzate per costruirla;
- la deformazione sistematica degli anelli,
necessaria alla modellazione del macro-coralli, producono un modello fisico
fotografabile e testabile ma non traducibile un modello grafico e, meno che
mai, in un modello strutturale;
- la bio-similitudine non riguarda tanto il
materiale di partenza o la configurazione di arrivo, quanto il meccanismo di
aggregazione e crescita degli elementi costitutivi.