10 set 2012

Persone e innovazione tecnologica


Oggi ho ricevuto una mail. La leggo e la rileggo:

“(…) l’innovazione tecnologica è innanzitutto un fatto singolo e puntuale. Ma un miliardo di persone non le raggiungerai mai se non le guardi tutte insieme. Allora hai bisogno di cose orizzontali …”

Nell’ultima settimana ho girato molto sul web, ho la mente piena di immagini e di considerazioni che ho bisogno di fissare, penso che questa frase possa essere una chiave di lettura. Una delle tante, però!

Penso:

Torre David, Caracas.
Dekalb Market, Brooklyn.
Boom Festival, Idanha-a-Nova, Portugal.




Torre David, Caracas.

Ho letto del premio del Leone d'Oro per il miglior progetto "Common Ground", su un post fatto da qualcuno su Fb. Leggo la motivazione:

"La giuria elogia gli architetti per aver riconosciuto la potenza di questo progetto trasformazionale: una comunità spontanea ha creato una nuova casa e una nuova identità occupando Torre David, e lo ha fatto con talento e determinazione. Questa iniziativa può essere intesa come un modello ispiratore che riconosce la forza delle associazioni informali".

Comincio la ricerca per capire cosa rende l’occupazione di questo grattacielo così diversa dalla occupazione di un qualsiasi altro palazzo, che sia in Sud America, in Africa o in Europa. Ci ripenso. Escludo l’Africa. Probabilmente lì non potrebbe mai avvenire. (“In Africa il seme dell’auto sviluppo non germoglia; troppo spesso ci si trova nel deserto, letteralmente e metaforicamente”).
Mi guardo intorno. 

Qui a Berlino, di palazzi occupati ce ne sono tanti. Qui funziona così. Si occupa un edificio e se appartiene alla pubblica amministrazione, può succedere che questa ti da la possibilità di organizzarti: se sostieni tutto a tue spese e riqualifichi l’edificio seguendo le regole edilizie, la casa è tua. Si costituisce un comitato che si deve mettere d’accordo, a volte la cosa riesce bene, altre volte tutto rimane invariato, ma i palazzi occupati si riconoscono: dai murales, dalle ringhiere dei balconi (probabilmente costruiti dallo stesso artigiano che lavora il ferro in qualche centro sociale), dai locali al piano terra. Sono molto colorati e artistici, belli da vedere.

Ritorno a cercare notizie su Torre David. Leggo i post di Detail e di Deezen:

“Torre David, non è una vera e propria baraccopoli, ma una comunità ben organizzata che vive con l’aiuto della Chiesa Protestante. Ci sono negozi, piccoli ristoranti…”.


Ripenso al mio viaggio in Kenia. Lì ho avuto la possibilità di girare per gli slum, ne ho visti due e tutti e due mi sono sembrati molto organizzati. C’è tutto, le stradine più strette prettamente “residenziali” e le vie principali con i locali: dal parrucchiere al noleggio dischi, dal “locale a luci rosse” alle scuole, tutto assolutamente auto costruito e anche con una certa cura nei dettagli. Non riesco ancora a capire l’innovazione di Torre David, ma poi leggo la domanda che si fa il critico Justin McGuirk:

“Why should the majority of the poor in countries like Venezuela be forced to live in the slums around the edge of cities if there are empty office towers in the city centres?,”.

Sì, forse è vero, già qui sta l’innovazione. La scelta di occupare una torre abbandonata al centro della città, non è forse una buona soluzione costruttiva, efficace ed economica, sia in termini monetari che ambientali?

Non credo che si viva molto meglio che in uno slum, i servizi non ci sono, i muri eretti non mi sembrano molto più resistenti delle case di latta, e credo che la criminalità sia quanto quella di uno slum. Ma esiste già, non si occupa dell’altro territorio e non si costruisce altro.

In Kenia ci siamo chiesti perché la gente lascia i villaggi, dove la qualità della vita (da un punto di vista ambientale) è migliore, per andare a vivere in posti invivibili, in discariche umane vastissime, ai margini di città enormi e piene di smog. E’ la vicinanza alla città, al movimento, al riscatto, che ti fa scegliere di stare peggio perché ti da più speranza per il futuro. 

Anche alla luce di questo l’occupazione di Torre David acquista un valore aggiunto, vivere al entro della città consente di abbattere i costi ambientali ma anche di dare più possibilità alla tua vita.


Continuo a leggere il post su Dezeen: gli occupanti hanno realizzato palestre, campi da gioco, negozi di tutti i tipi…ma la cosa che mi fa sorridere è la soluzione adottata per salire i 45 piani (che in effetti sono tanti), senza utilizzare gli ascensori che ovviamente non ci sono: un servizio taxi che va su e giù per il parcheggio adiacente!

Insomma, nell’occupare e nel vivere la Torre sono stati combinati tra di loro una serie di strumenti con una serie di risorse, le uniche che si avevano. E’ la tecnologia messa a disposizione dell’obiettivo perseguito da molti: avere un futuro!

Dekalb Market, Brookyn

Ho visto le immagini del Dekalb Market facendo una ricerca sul riutilizzo dei containers. Ricordavo il vecchio lavoro di una studentessa che aveva fatto una ricerca molto interessante su come vengono riutilizzati. Ricordavo anche che alla fine la ricerca era molto più valida della soluzione architettonica che lei aveva trovato.


A colpirmi è stato il disegno che una serie di containers, messi uno accanto all’altro a spina di pesce, facevano su una piazza che altrimenti sarebbe stata troppo grande e spoglia. Sotto la didascalia: “È il Dekalb Market e ha inaugurato proprio lo scorso fine settimana nel centro di Brooklyn.” La data è 28 giugno 2011. Ok, guardiamo di cosa si tratta…

Il Dekalb Markt, semplificando, è una comunità che si trova a Brooklyn. Gli obiettivi del Dekalb Markt sono quelli di promuovere l’imprenditorialità, fornendo un’opportunità economica a imprenditori indipendenti; la qualità, curando il valore delle offerte; la comunità, condividendo con le persone non solo i prodotti realizzati ma anche beni immateriali, come la cultura, l’istruzione, le idee; la sostenibilità, progettando dei sistemi differenti per utilizzare al meglio le risorse… All’interno di questa sorta di centro sociale all’aperto si organizzano eventi, corsi, si coltivano ortaggi per controllare la qualità del cibo.

Anche qui, una sorta di micro mondo auto-organizzato, e a caratterizzare lo spazio sono i volumi dei container colorati. 


Le casse sono collegate tra loro da una serie di giunti tipici, la coibentazione dei container è ottenuta inserendo un isolante tra la parte metallica esterna e i muri in cartongesso interni, le finestre a nastro in alluminio vengono sigillate e saldate direttamente sulla facciata ondulata. Forse, come lo studio della studentessa che ricordo io, la qualità ambientale all’interno delle scatole non è delle migliori, ma di sicuro il riutilizzo di queste strutture industriali, la libera interpretazione che ogni artista fa del suo spazio, e il movimento che questi container creano, riescono a raccontare bene la filosofia di questo mercato.


L’innovazione è nel significato che ha il riutilizzo di vecchi container commerciali. I vecchi container commerciali rappresentano la vecchia economia, il vecchio mercato seriale che ormai non funziona più. Sulle macerie di questo mercato nasce la nuova economia che basa la sua logica su altri principi come l’ecologia, l’etica, la ricchezza culturale e umana.
L’innovazione non si trova nell’oggetto in sé ma nel sistema che riesce a creare: l’architettura è un testo che racconta…


Boom Festival, Idanha-a-Nova, Po

Devo dire la verità, nel guardare il loro sito mi sono divertita tantissimo. E’ stato com’è per un bambino sfogliare un libro pop-up: ogni pagina una sorpresa, una meraviglia e ti sembra di essere fra i protagonisti del libro!


Non saprei raccontare le persone che ogni due anni partecipano al boom festival, mi sento troppo distante dal loro chiasso e dalla loro idea di “vivere in armonia con la natura”. Di per sé un festival così grande è poco compatibile con l’equilibrio naturale, l’impatto antropico è enorme, eppure le tecnologie di costruzione usate per l’evento, hanno consentito di mitigare l’impatto e di salvaguardarne il contesto naturale.


Le strutture medio grandi costruite in canne di bamboo e tessuti tesi, hanno richiesto un utilizzo di risorse, di materiale e di energia, minimo. I procedimenti di costruzione sono stati relativamente semplici. E’ stata sfruttata l’elasticità tipica delle canne di bamboo per costruire ora dei piloni, ora degli archi strutturali, ora dei gusci a doppia curvatura; i tessuti tesi hanno fatto il resto circoscrivendo e proteggendo gli spazi dello stare comune.


Non è solo l’assenza di fondazioni ad evitare l’impatto negativo delle strutture, è l’intero procedimento costruttivo che permette di valorizzare al meglio le risorse. Ovviamente a contribuire all’abbattimento dei costi ambientali delle costruzioni è stato anche l’utilizzo di materiale riciclato: le torri di pallet che ricordano a volte delle alte fiamme a volte degli animali enormi e docili, hanno un effetto scenico degno di un qualunque buon film futuristico.

E le immagini delle edizioni ancora precedenti non sono da meno (si parte dal 1997). Si incontrano strutture tese, gusci, reticoli, geodetiche… un intero universo di sperimentazione basata sulla collaborazione degli elementi, sull’armonia e l’integrazione degli opposti, in barba alla consueta ricerca progettuale che troppo spesso viene miseramente ricondotta alla logica degli oggetti di consumo. 



Una goduria che, molto probabilmente, non sarebbe possibile vedere se non ci fossero dei ragazzi così desiderosi di vivere in “armonia con la natura”…



Tre situazioni differenti, fatti singoli e puntuali, ma che guardano tre categorie vaste di persone, cose orizzontali come la fame e la voglia di riscatto, la ricerca di un mercato più equo ed ecologico, la voglia di ristabilire un rapporto con il essere animale e la natura…

Forse il mio ragionamento ha preso una strada molto diversa da quella suggerita da chi mi ha scritto la mail…

“(…)l’innovazione tecnologica è innanzitutto un fatto singolo e puntuale. Ma un miliardo di persone non le raggiungerai mai se non le guardi tutte insieme. Allora hai bisogno di cose orizzontali …”



1 commento:

  1. se stati troppo fermo rischi di ripeterti, se ti muovi le cose si mescolano

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